ANNO 14 n° 88
''Ancora una volta ingiustizia è fatta''
Caso Manca, il gip di Roma ha accolto la richiesta di archiviazione della Dda

VITERBO - Caso Manca, il gip  di Roma Elvira Tamburelli ha accolto la richiesta di archiviazione della procura antimafia capitolina.

Non ci saranno nuove indagini sulla morte dell'urologo originario di Barcellona Pozzo di Gotto e in servizio all'ospedale di Belcolle, trovato cadavere nel suo appartamento in via Santa Maria della Grotticella il 12 febbraio 2004, ufficialmente suicidatosi con una overdose di eroina.

Per la sua morte l'unica a finire a processo è stata Monica Mileti, la donna condannata dal tribunale di Viterbo a 5 anni e 4 mesi di carcere per aver ceduto la dose fatale di droga al medico siciliano.

Sul caso aveva aperto un fasciolo la Dda per omicidio colposo a carico di ignoti. La richiesta di archiviazione è stata fatta dai magistrati Michele Prestipino e Cristina Palaia, con il nullaosta del procuratore capo Giuseppe Pignatone, secondo cui le dichiarazioni dei pentiti sentiti – che vanno nella direzione del delitto di matrice mafiosa con la complicità dei servizi deviati – condurrebbero invece ''a piste, presunti autori e modalità del fatto del tutto contrastanti e incompatibili, sostanzialmente prive di riscontri, non consentendo allo stato di risalire agli autori del presunto omicidio di Attilio Manca''.

''Ancora una volta sul caso di Attilio Manca ingiustizia è fatta, ancora una volta la verità viene sacrificata sull’altare della ragion di Stato'' ha dichiarato in una nota l'avvocato Antonio Ingroia, difensore della famiglia Manca che da anni si batte per la riapertura del caso.

 ''L'ennesima archiviazione della magistratura laziale, prima quella di Viterbo e oggi quella di Roma –  ha proseguito Ingroia –, conferma che avevamo ragione: lo Stato si autoprotegge, anzi si autoassolve, affinché non si sappia la verità, e cioè che Attilio è stato ucciso dall’apparato mafioso istituzionale che a lungo ha coperto la latitanza di Bernardo Provenzano prima del suo arresto, essendo all’epoca il boss il garante di Cosa nostra nella trattativa Stato-mafia''.

''Invece di approfondire e di indagare a fondo, come pure imponevano le palesi incongruenze e le lacunose ricostruzioni che hanno caratterizzato le indagini, nonché l’assoluta inattendibilità di alcuni testimoni – ha continuato –, si è preferito non vedere e non sentire, si è deciso di ignorare fatti evidenti, così da mettere una pietra tombale sull’intera vicenda con 75 pagine di motivazioni assolutamente inconsistenti, con cadenze argomentative che ricordano quelle della Cassazione di Corrado Carnevale dei bei tempi andati...''.

''Quella di Attilio non è stata una tragedia di droga, come pure la si vuol far passare, Attilio è una vittima di Stato e di mafia, ma lo Stato non può e non vuole ammetterlo. E’ per questo – ha concluso l'avvocato Ingroia – che lo Stato italiano ancora una volta nega giustizia ad Attilio e alla sua famiglia. Ma non si può subire per sempre. È il momento che il Popolo della Verità si ribelli!''.



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